L’economia della vacuità… un viaggio chiamato influencer.

L’economia della vacuità… un viaggio chiamato influencer.

 

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Stanotte (sarebbe più esatto dire stamattina, post alba inoltrata) ho fatto un sogno:  ho sognato di essere damigella al matrimonio di una sconosciuta.

La mia irreprensibile sete di sapere mi ha spinta a consultare SogniPedia (fonte attendibilissima davvero) mettendomi di fronte al mio ignoto inconscio, con l’avventata conclusione che probabilmente la cerimonia rappresentasse l’unione, quindi il matrimonio, di parti diverse della nostra personalità (lavorativa o affettiva che fosse).

A quel punto avevo ben chiaro in mente, di prima mattina (che già di per sè è un ossimoro), con le idee rivelate nel fondo del mio cappuccino, che in quella cerimonia si fosse unita, una volta per tutte, la mia parte seria con quella frivola. Dovevo crescere.

Che la mia parte Selfie stava facendo a botte con l’intellettuale pubblicista ed una vecchia me era al tramonto, mentre una nuova stava per sorgere che, alla fine di tutto questo giro, auspicava la concretezza .

E che quel sogno era un’ ineluttabile apparizione: l’economia della vacuità è agli sgoccioli, e dovevo preservare la mia integrità dal vortice dei social e dell’autostima in visualizzazioni.

Se solo per qualche istante avessi pensato di poter beneficiare, mio malgrado, di un soffio di questa boria glitterata, la realtà mi restituiva l’immagine deformata di me tra qualche anno, ricca di cosmetici ma povera di mestiere.

Una altrettanto deformata illusione appariva, in verità, la definizione “influencer” coniata per me, che della boria ho immaginato la brezza ma con i miei 600 circa followers al massimo, fiera, soffiavo con il ventaglio.

Ho riabbracciato infine la mia penna ed i miei pennelli e mi sono domandata: ma poi questi influencer chi sono?!

Sono prima di tutto persone che possiedono la fiducia di altre, più specificatamente milioni di utenti, che li seguono con incondizionato affetto e spasmodica (concedetemelo) curiosità.

Alcuni sono nati su you tube, altri scrivono su un blog, altri ancora gestiscono un sito, ma sono tutti i vip di una realtà parallela virtuale, altrettanto ammirati,seguiti,emulati.

Ma soprattutto sono una fonte di ricchezza,che muove l’economia, esibita in una vetrina ambulante. Monetizzano i like e fanno di ogni visita in negozio un evento.

Mi spiego meglio: tutto quello che ogni giorno scelgono di mostrare, postare e condividere diventa virale, determinandone la fortuna quanto la malura.

E ben venga chi si erge a garante della qualità, gonfio delle competenze, acquisite con studi di settore consoni a fare di quel consiglio la propria bandiera, pronto a far da cavia, risparmiarci acquisti invani. Ma, salvo alcuni eletti, il web è saturo dell’influencer per antonomasia, tronfio, che ha improvvisato un’arte che non possiede, seguendo la scia della Ferragni in picchiata per arrivare prima alla meta.

Soggetti troppo IN che hanno la pretesa di essere esemplari per tutti, perché?!Perché loro non seguono le mode, loro le decidono e in tal misura le influenzano, inaugurando una nuova era della pubblicità, tanto efficace, quanto immediata, delle marchette quotidiane tese a mandare avanti l’economia della vacuità.

Della perfezione ostentata con o senza filtro, che come una ring light illumina il soggetto di un’aura divina, sfumandone però i contorni.

Delle foto ritagliate perché si intravede il pigiama, dell’inglese che fa tanto internazionale, cosi’ mi risparmio le concordanze nell’italiano se il periodo è troppo lungo, della bella vernice decapata che grattata nasconde un mobile ikea.

Che posto è destinato agli influencer di serie b che ostentano una vita di serie a?!

Il buco nero della galassia, svanire con la stessa velocità con cui passano le mode, lasciando, come queste ultime, di sè il ricordo (perché la rete non dimentica) di qualcosa che è stato ed allo stesso modo superato.

La stessa nostalgia che proviamo di fronte alle treccine negli anni 90, che potevano rendere tanto Corona in”The rhythm of the night” quanto le Spice girl sul palco dell’Ariston: eterne o effimere.

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